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Breve storia dell'Astronomia By Ettoreguido

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Riccardo Cosenza
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Breve storia dell'Astronomia By Ettoreguido

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Messaggio da Riccardo Cosenza »

L'astronomia è probabilmente la più antica delle scienze naturali, lontana nel tempo tanto quanto l'origine dell'uomo. Il desiderio di conoscenza ha incentivato gli studi astronomici sia per un motivazioni religiose, divinatorie, e di previsione degli eventi; l'astronomia infatti coincide dalle origini con l'astrologia presso tutti i popoli antichi divenendo uno strumento di conoscenza e potere, ma solo con l'avvento del metodo scientifico è stato possibile creare una distinzione netta.

Anticamente la comprensione dei "meccanismi celesti" permetteva inoltre la creazione di un calendario legato ai cicli dell'agricoltura, alle stagioni e alle previsioni del ciclo lunare; conoscere in anticipo il sopraggiungere della nuova stagione investiva in pieno la capacità di sopravvivenza dell'uomo antico. Pertanto l'investigazione della volta celeste ha costituito da sempre un importante legame tra cielo e terra, tra uomo e Dio.
Le prime conoscenze astronomiche dell'uomo preistorico consistevano essenzialmente nella previsione dei moti degli oggetti celesti visibili, stelle e pianeti. Un esempio di questa prima astronomia sono gli orientamenti astronomici dei primi monumenti megalitici come il famoso Stonehenge, i tumuli di Newgrange, i Menhir e tanti altri. Molti di questi monumenti dimostrano il legame antico col cielo, ma soprattutto l'ottimo grado di precisione delle osservazioni. Secondo alcuni studiosi, infatti, la costellazione dell'Orsa Maggiore era nota già 40-50.000 anni fa.

Anche nel centro America si svilupparono delle civiltà che raggiunsero una cultura e un grado di conoscenze assai elevato. La loro sviluppatissima astronomia non diede purtroppo dei contributi alle altre civiltà, rimanendo confinata nell'isolamento sino ai tempi della scoperta dell'America. Anch'essi sono famosi per la costruzione di templi e piramidi dedicati agli dei del cielo. Il loro culto era legato a Venere, identificato con la divinità nota come “serpente piumato”; proprio sui moti di questo pianeta svilupparono un preciso calendario astronomico, scoprendo in particolar modo che ogni 8 anni il pianeta compie 5 rivoluzioni sinodiche (di 584 giorni): sorprende infatti la precisione degli almanacchi astronomici improntati sul ciclo di Venere con l'esiguo errore di un giorno in 6.000 anni! Il calendario in particolare, era formato da 18 mesi di 20 giorni con 5 giorni addizionali.

È risaputo come questi popoli riuscissero a prevedere il periodo in cui si aveva maggior probabilità d'avere delle eclissi, assai temute dagli antichi, prevedendo anche il ciclo delle stagioni, i solstizi e gli equinozi. I templi, perfettamente allineati con la levata del Sole in determinati giorni dell'anno, sono un ottimo esempio di allineamento astronomico.

Il complesso di edifici di Uaxactun nel Guatemala presenta una piattaforma in cima ad una delle piramidi dalla quale, in occasione di equinozi e solstizi, è possibile osservare il Sole sorgere dietro lo spigolo di altri tre edifici perfettamente allineati.

I primi segnali di una civiltà babilonese ben sviluppata si hanno attorno al 2700 a.C. Questo popolo dimostrò subito di possedere eccezionali conoscenze astronomiche, dando successivamente dei contributi anche agli egiziani e ai popoli indiani. La necessità di perfezionare le conoscenze in campo astronomico non proveniva solo dalla necessità di avere un buon calendario su cui fare riferimento, ma soprattutto per convinzioni astrologiche; in tal senso erano gli stessi sovrani a richiedere precise previsioni astrologiche agli astronomi di corte. Fu quindi la necessità di dover prevedere la posizione della Luna e dei pianeti, di capire il meccanismo delle eclissi di Sole e di Luna, ritenuti eventi infausti, a far perfezionare le conoscenze e le ricerche astrologiche.

Questi popoli, pur non avendo a disposizione strumenti di precisione, intuirono il moto apparente dei pianeti basandosi sulla posizione di alcune stelle di riferimento nel cielo. Scoprirono quindi i periodi sinodici dei pianeti Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno con un semplice errore di alcuni giorni, riportando le previsioni su tavolette effemeride dalle quali si poteva sapere in ogni momento quando un pianeta era stazionario in cielo o in opposizione.

Osservando il moto lunare, si accorsero che le fasi avevano tempi ben definiti, intuendo come il Sole, la Terra e la Luna si ritrovino periodicamente nella medesima posizione. Questa scoperta si riferisce al cosiddetto "ciclo di Saros": dopo 223 lunazioni (18,10 anni) la Luna ricomincia un ciclo in cui le eclissi si ripetono con la stessa cadenza registrata nel ciclo precedente.

Essendo assai abili anche nei calcoli matematici (introdussero l'algebra), determinarono la durata del mese sinodico lunare con errori di 30 secondi d'arco in 5.000 lunazioni! La loro abilità nello studio del cielo li portò ad identificare la fascia dello zodiaco e l'eclittica, da essi chiamata “via del Sole”, in cui trovare i pianeti. Questa fascia poi venne divisa in 360 parti, una per ogni giorno dell'anno, introducendo così l'uso del sistema sessagesimale per il calcolo dei gradi. Ebbero poi la giusta intuizione nel raggruppare le stelle in costellazioni dando loro anche dei nomi.

Furono i primi a dividere il giorno in 24 ore, anche se per loro il giorno cominciava la sera, mentre il mese cominciava all'emergere della Luna dalle luci del tramonto subito dopo il novilunio. Fissarono quindi un calendario di 12 mesi lunari di 29 e 30 giorni alternati in maniera non regolare, dividendo i mesi in settimane. Il primo giorno dell'anno però cominciava con il plenilunio di primavera. Per correggere il calendario, anch'essi ebbero bisogno di intercalare mesi aggiuntivi per far tornare i conti, ottenendo comunque una misura precisa nel tempo.

Le conoscenze astronomiche degli egiziani, a parte la loro fama nella costruzione delle piramidi e di altri monumenti allineati con le stelle, presenta come punto di forza il calendario. La loro vita era fortemente legata a quella del fiume Nilo e delle sue periodiche alluvioni, le quali avvenivano con una certa costanza, in genere ogni 11 o 13 lunazioni. Gli egiziani si accorsero che l'inizio delle inondazioni avveniva quando si alzava nel cielo la stella Sirio (Sopdet per gli egizi) con un errore di 3-4 giorni al massimo.

Con questo riferimento sorsero diversi calendari, il primo era il calendario lunare di 354 giorni con mesi di 29 o 30 giorni. Ma nel tempo si notarono errori di calcolo, così ne fu introdotto un secondo definito calendario civile di 365 giorni con 30 giorni ogni mese e 5 epagomeni ogni anno. Ma anche questo calendario mostrava qualche differenza con la realtà. Così fu introdotto un ultimo calendario ancora più preciso, il quale possedeva un ciclo di 25 anni in cui veniva aggiunto un mese intercalare nel 1°, 3°, 6°, 9°, 12°, 14°, 17°, 20°, e 23° anno di ogni ciclo. Questo calendario così preciso fu anche usato da Tolomeo nel II secolo d.C. e preso come riferimento sino ai tempi di Copernico. Da ricordare che i mesi di 30 giorni erano divisi in settimane da 10 giorni e in 3 stagioni di 4 mesi detti: mesi dell'inondazione, mesi della germinazione, mesi del raccolto.

Già dal 3000 a.C. gli egiziani avevano in uso la divisione delle ore diurne e notturne in dodici parti ciascuna: per le ore diurne usavano regolare il tempo con le meridiane, mentre per le ore notturne si servivano di un orologio stellare, ovvero osservavano le posizioni di 24 stelle brillanti. Le ore così misurate sia di giorno che di notte avevano una durata diversa a seconda della stagione, mantenendo comunque una durata media di 60 minuti. Successivamente, per le ore notturne vennero introdotti i “decani”, ovvero 36 stelle poste in una fascia a sud dell'eclittica, ognuna delle quali indicava con maggior precisione l'orario.
I primi astronomi greci
L'uomo a cui si devono le prime indagini conoscitive sul mondo e sull'astronomia è Talete di Mileto, fondatore della scuola ionica. Egli stimò con buona approssimazione che i diametri apparenti del Sole e della Luna sono la 720a parte del circolo percorso dal Sole; gli è stata attribuita anche la divisione dell'anno in quattro stagioni e 365 giorni, nonché la previsione di solstizi ed equinozi, e di un eclisse di Sole.

Anassimandro fu l'inventore dello gnomone per rilevare l'altezza del Sole e della Luna e quindi l'inclinazione dell'eclittica. Egli riteneva il mondo un cilindro posto al centro dell'universo con i corpi celesti che vi ruotano attorno, supponendo l'esistenza di mondi infiniti in tutte le direzioni, e avendo così la prima intuizione del principio cosmologico.

Ma un contributo maggiore lo diede Filolao, della scuola Pitagorica, il quale sosteneva un modello di sistema solare non geocentrico; al centro dell'universo vi era un grande fuoco ove vi ruotavano la Terra, l'Antiterra, la Luna, il Sole, Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno. L'esistenza dell'antiterra fu introdotta probabilmente per giustificare l'invisibilità del fuoco centrale che veniva occultato da quest'ultima, nonché dalla necessità filosofica di arrivare ad un numero totale di dieci corpi.

Platone, il grande filosofo, ebbe dapprima una visione dell'universo eliocentrica, poi ritrattata in tarda età per il geocentrismo. Intuì tuttavia la sfericità della Terra, sostenendo anche che la Luna ricevesse luce dal Sole.

Le sfere di Eudosso
Sistema eliocentricoEudosso di Cnido introdusse il concetto di sfere omocentriche, ossia di un universo diviso in sfere aventi un unico centro di rotazione in cui si trovava la Terra; in ogni sfera vi era poi un pianeta con un moto circolare ed uniforme differente da quello degli altri. In questo modo diede spiegazione dei movimenti retrogradi e degli stazionamenti periodici dei pianeti: per le stelle fisse fu facile attribuire una sfera immobile, mentre per i pianeti e per la Luna il moto veniva spiegato con una prima sfera che induceva un moto diurno, un'altra per il moto mensile ed infine una terza ed una quarta con diverso orientamento dell'asse per il moto retrogrado. Tenendo conto che il Sole ne possedeva tre, si giunge ad un sistema di ben 27 sfere.

Aristotele, il più grande studioso dell'antichità, fu la causa dello stallo ideologico del pensiero per ben 2000 anni! Le sue idee infatti, essendo state acquisite dalla Chiesa acriticamente, divennero un dogma assoluto. Egli attribuì una realtà fisica alle sfere di Eudosso alle quali ne aggiunse altre per sopperire alle evidenze osservative. Egli ipotizzò un complicato sistema di 55 sfere animate da un motore immobile dal quale partiva l'impulso al moto di tutte le sfere, mentre l'attrito contribuiva a creare un moto differente per ogni sfera.


Il “Copernico dell'antichità”, Aristarco di Samo
Aristarco di Samo perfezionò la visione dell'universo di Eraclide Pontico spostando il Sole al centro dell'universo; il moto dei corpi quindi diveniva più semplice da spiegare anche se non ancora perfetto, data la mancata applicazione delle orbite ellittiche. Inoltre, considerò il moto rotatorio della Terra su di un asse inclinato, spiegando così le stagioni.

Aristarco fu anche famoso per il metodo di misura della distanza tra la Terra-Sole. Al primo quarto di Luna, quando risulta visibile anche il Sole, i due astri formano un angolo di 90°. Considerando l'ipotetico triangolo tra i tre corpi, Aristarco misurò quello della Terra con la Luna ed il Sole, trovando un valore di 87°. In questo modo, con un semplice calcolo trigonometrico ottenne che la distanza Terra-Sole era 19 volte maggiore di quella tra la Terra e la Luna. Il valore in verità è di 400 volte, ma l'importanza di tale misura non consiste nella precisione riscontrata, quanto nel metodo usato e nell'intuizione.


La prima misura del meridiano terrestre
Misura del meridiano terrestreLo scienziato che per primo misurò la lunghezza del meridiano terrestre fu Eratostene di Cirene, in Egitto. Il metodo che adottò per misurare la lunghezza del meridiano terrestre ebbe come riferimento due città: Alessandria e Siene, l'odierna Assuan. Partendo dall'ipotesi che fossero sullo stesso meridiano (in realtà sono separate da 3° di longitudine), misurò dapprima la distanza tra le due città, ponendo concettualmente i raggi solari paralleli tra loro: questa situazione è possibile in alcuni giorni dell'anno; il giorno del solstizio d'estate, infatti, a Siene il Sole è allo zenit e i raggi risultano verticali, mentre ad Alessandria formano un certo angolo: questo angolo corrisponde all'angolo posto ipoteticamente al centro della Terra tra le rette che congiungono le due città. Il suo valore era di 1/50 di angolo giro (ancora i gradi sessagesimali non erano stati ufficialmente introdotti), che equivaleva a 250.000 stadi, ossia a 39.400 Km (contro i 40.000 reali).

Gli epicicli e i deferenti e il contributo di Ipparco
Apollonio di Perga in Turchia introdusse il sistema degli epicicli e dei deferenti. I pianeti così avrebbero dovuto ruotare attorno alla Terra su di un'orbita circolare ad una velocità costante chiamata deferente, mentre il centro della stessa orbita avrebbe ruotato attorno ad un cerchio immateriale detto epiciclo; sicché, per spiegare le persistenti differenze osservative dovette introdurre il modello eccentrico, con la Terra non perfettamente al centro del deferente; in tal modo la rotazione dei pianeti avveniva secondo un modello matematico molto vicino alla realtà, con moti retrogradi e persino variazioni di luminosità del pianeta.

Ipparco di Nicea utilizzando vecchie osservazioni e cataloghi stellari primordiali, ne creò uno nuovo con 850 stelle, assegnandovi per primo le coordinate ellittiche. Classificò quindi le stelle in una scala di sei grandezze che oggi conosciamo come magnitudini stellari. Tramite questi elementi Ipparco poté notare che tra le sue osservazioni e quelle del passato vi era una certa differenza; questo implicava lo spostamento del centro di rotazione del cielo, e quindi la precessione degli equinozi. Il suo studio fu così accurato che poté calcolare i valori di spostamento supposti in 45” d'arco all'anno (oggi il valore stimato è di 50”). Stabilì con buona precisione la differenza tra anno tropico e sidereo calcolandone anche i tempi.


L'ultimo grande astronomo dell'antichità
L'universo geocentrico di TolomeoLa fama di Claudio Tolomeo è sorta grazie anche al libro “L'Almagesto” (Mathematikè Syntaxis). I libri dell'Almagesto sono un riepilogo di tutto il sapere del passato ed erano talmente completi da divenire in breve tempo un riferimento duraturo per i secoli futuri. In essi Tolomeo riprese e riadattò le vecchie teorie astronomiche alle nuove scoperte: stabilì il sistema geocentrico come punto irremovibile delle sue idee, dal quale giustificò il moto dei pianeti con le teorie di Apollonio ed Ipparco usando epicicli e deferenti; e nel cercare di creare un modello quanto più preciso possibile, ma soprattutto che non differisse dalle osservazioni, introdusse il concetto di equante, perfezionando l'ipotesi dell'eccentrico di Apollonio. Con questo “stratagemma” Tolomeo riuscì a non discostarsi troppo dai principi aristotelici di circolarità delle orbite e di costanza del moto; difatti, l'eccentricità fa apparire il moto degli astri non costante quando osservato dalla Terra, mentre in realtà risulterebbe continuo. Fu anche con questo sistema che riuscì a giustificare tutti i moti dei pianeti, anche quelli retrogradi, rispetto alla volta celeste. Creò un catalogo stellare con 1028 stelle usando le carte di Ipparco con cui divise il cielo in costellazioni, tra le quali le 12 dello zodiaco, usando il metodo delle magnitudini stellari.




L'astronomia araba
Per approfondire, vedi la voce astronomia araba.

Con la caduta dell'Impero Romano iniziava in Europa il periodo medioevale, periodo in cui lo sviluppo delle scienze ebbe una brusca frenata. Tuttavia, l'arrivo degli Arabi nel sud dell'Europa, in particolare in Spagna e in Sicilia, determinò il mantenimento di una fiorente cultura del cielo che avrebbe influenzato le future generazioni; basti pensare che buona parte dei nomi delle stelle (Deneb, Altair, Betelgeuse, Aldebaran, Rigel ecc.) e alcuni termini astronomici (Zenit, Nadir, almanacco, algoritmo, algebra, algoritmo ecc.) hanno origine araba. Infine, bisogna ricordare l'introduzione del sistema di numerazione arabo (desunto dagli Indiani), ben più semplice di quello romano e ben più pratico.

Valenti scienziati hanno reso possibile il fiorire di questa cultura: da al-Fargh#257;n#299; (latinizzato in Alfraganus) ad al-Hasan ibn al-Haytham (latinizzato in Alhazen), da al-B#299;r#363;n#299; a Ibn Yunus, da Abu l-Waf#257;' a ‘Omar Khayy#257;m (la cui fama di poeta oscurò quella per cui fra i musulmani era assai più apprezzato, quella cioè di astronomo e di matematico).
Al-Battani (latinizzato in Albategnius), attivo al Cairo, fu il più grande astronomo arabo, autore di misure che migliorarono la conoscenza dell'inclinazione dell'asse terrestre; al-Zarqali, latinizzato in Arzachel, arabo di Cordova, fu autore delle celebri tavole planetarie note come Tavole Toledane che, tuttavia, si rifacevano a tavole (z#299;j) risalenti all'età dei persiana sassanide; l'andaluso Ibn Rushd, detto Averroè, criticò apertamente la teoria degli epicicli sostenendo l'irrealtà dei cerchi eccentrici e dei deferenti.


Il Cinquecento

Da Copernico a Galilei
Si può ben affermare che l'astronomia moderna cominci da Niccolò Copernico. Nella sua nuova visione, la Terra orbita intorno al Sole con moto circolare; il moto dei pianeti e le elongazioni di Mercurio e Venere venivano di conseguenza spiegati con estrema semplicità, senza dover ricorrere “all'artificio” degli epicicli e dei deferenti.

Tycho Brahe è considerato tra i più grandi osservatori del passato. All'età di 30 anni ottenne dal re di Danimarca la concessione dell'isolotto di Hveen, ove avrebbe costruito l'osservatorio più importante dell'epoca. A seguito del passaggio di due comete nel 1577 e nel 1583 dedusse che questi corpi, tanto variabili, si trovassero oltre l'orbita lunare; cominciava quindi a cadere l'idea delle sfere associate al Sole, alla Luna e ai pianeti, come pensava Aristotele, così come cominciava a cadere l'idea dell'immutabilità del cielo stellato. Ma la fama di Brahe non è legata solo a queste considerazioni, ma piuttosto alle precise osservazioni effettuate con strumenti da lui stesso realizzati. Brahe determinò con precisione la lunghezza dell'anno terrestre, riscontrando l'accumulo di errori dal passato, tanto da rendere inevitabile la riforma del calendario. Riuscì poi a stabilire con una precisione mai raggiunta: l'obliquità dell'eclittica, l'eccentricità dell'orbita terrestre, l'inclinazione del piano dell'orbita lunare e l'esatta misura della retrogradazione dei nodi, scoprendo la non costanza del moto. Infine, compilò il primo catalogo moderno di posizioni stellari con oltre 1000 stelle.

Giovanni Keplero nel 1600 andò a Praga a lavorare come assistente di Brahe, e due anni dopo venne nominato suo successore. Utilizzò le osservazioni di Brahe e in particolare, studiando l'orbita di Marte, si accorse dell'esistenza di incongruenze tra teoria e pratica; provando e riprovando, Keplero capì che per limitare gli errori di calcolo l'unico modello che potesse spiegare il moto fosse quello ellittico, con il Sole in uno dei fuochi. Con tale deduzione Keplero gettò le basi della meccanica celeste; le tre leggi di Keplero infatti, furono una vera e propria rivoluzione, abbattendo l'ultima barriera ideologica alla radicata convinzione dei moti uniformi e circolari delle orbite dei pianeti.

Nel 1609, Galileo Galilei venne a sapere dell'invenzione del telescopio; dopo essersi documentato, ne costruì uno tutto suo migliorandone le prestazioni e gli ingrandimenti. Quando lo puntò in cielo, le sue osservazioni rivelarono un universo mai visto prima: la Luna aveva una superficie scabrosa, Giove era circondato da quattro satelliti che gli ruotavano intorno, la Via Lattea era risolta in milioni di stelle, Saturno mostrava uno strano aspetto, mentre Venere aveva le fasi come la Luna. Nel 1632, dopo aver pubblicato il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, nel quale affermava apertamente le sue idee eliocentriche, Galileo fu chiamato ad abiurare.


Il Seicento

L'astronomia matematica: Newton
Già dal periodo universitario Isaac Newton si occupò di studi matematici, di osservazioni astronomiche, fisiche e chimiche. Nel 1686 pubblicò la sua famosa opera Phylosophiæ naturalis principia mathematica, che contiene anche la legge di gravitazione universale, vari studi sul moto dei fluidi e le leggi dell'urto; a lui si deve anche il calcolo infinitesimale, le funzioni di una variabile e la costruzione di tangenti su curve piane. In ottica espose la teoria della scomposizione della luce bianca secondo la famosa esperienza del prisma, fornendo anche spiegazioni sul fenomeno dell'arcobaleno. Studiò anche la forma della Terra, l'effetto delle perturbazioni dovute all'azione gravitazionale del Sole e quindi il fenomeno delle maree, da cui risalì anche alla valutazione della massa della Luna. Interpretò anche la precessione degli equinozi partendo dalla forma irregolare della Terra, e valutò lo schiacciamento polare conoscendo la velocità di rotazione e le dimensioni del pianeta.


I telescopi migliorano: le nuove scoperte
Christian HuygensChristian Huygens si dedicò a studi di fisica e meccanica ottenendo delle scoperte fondamentali. A lui si deve la prima ipotesi della conservazione dell'energia, introducendo la “forza viva” che successivamente sarà chiamata “energia cinetica”, applicata concettualmente anche alla possibilità di spiegare i fenomeni naturali in termini di cambiamenti di velocità e posizione di atomi microscopici. Fu il primo ad ipotizzare una teoria ondulatoria della luce secondo piccole esperienze, entrando così in polemica con Newton, il quale sosteneva la teoria corpuscolare, polemica che sarebbe terminata solo con la moderna concezione della doppia natura della luce: sia ondulatoria che corpuscolare. Si occupò anche di ottica, migliorando notevolmente gli strumenti astronomici, costruendo un oculare adatto a ridurre l'aberrazione cromatica. Queste migliorie ottiche gli consentirono di scoprire gli anelli di Saturno e la sua luna più grande, Titano (nel 1665).

Giovanni Domenico Cassini scoprì nel 1665 una breccia sugli anelli di Saturno, la cosiddetta divisione di Cassini. Successivamente scoprì alcuni satelliti: Giapeto (1671), Rea (1672), Dione e Teti (1684). Determinò anche l'unità astronomica con un errore del 10%.

Ole Romer collaborò con Cassini all'introduzione del micrometro filare ed ebbe anche la prima idea di montatura equatoriale. Il suo nome però, è legato indubbiamente alla prima vera misurazione della velocità della luce: utilizzando le effemeridi di Giove, notò come persistesse nel calcolo teorico un certo tempo tra il fenomeno calcolato (eclissi o transito del satellite) e la realtà; da ciò dedusse che, data la notevole distanza tra la Terra e Giove, la luce impiegava un determinato tempo per arrivare sino alla Terra, contraddicendo le convinzioni dell'epoca sull'istantaneità dei fenomeni luminosi. Egli giunse a stabilire che la luce viaggiava ad una velocità di 225 mila Km/s, contro i 300 mila reali.

Edmund Halley nel 1678 fu nominato membro della Royal Society. Nel 1682 osservò la cometa che prenderà il suo nome, supponendo che compisse una rivoluzione completa lungo la sua orbita ogni 76 anni. Tramite i calcoli predisse il successivo passaggio che avvenne puntuale, ma che egli non vide a causa della sua morte. Nel 1718 mise in evidenza i moti propri delle stelle, dimostrando che almeno tre di esse, Sirio, Procione e Arturo, avevano cambiato posizione dai tempi di Tolomeo; scoprì inoltre l'ammasso dell'Ercole.

Il nome di James Bradley è legato alla scoperta dell'aberrazione della luce, la quale aprì la strada alle future misure di parallassi stellari. Osservando la stella #947; draconis, sospettata di mutare posizione, scoprì uno spostamento opposto a quello dovuto. Annotando tutti i dati necessari quali temperatura e comportamento del telescopio, annunciò nel 1729 la scoperta dell'aberrazione. Egli tuttavia notò che, calcolando gli effetti dell'aberrazione, resiste uno scostamento fisso di 2” d'arco, il quale indicava l'esistenza di un altro fenomeno: il fenomeno in questione era la nutazione, che determina uno spostamento delle posizioni stellari ogni 18,6 anni.


Il Settecento

Il catalogo di Messier
Charles Messier, astronomo francese, pubblicò nel 1774 il celebre catalogo che porta il suo nome. Accanito cacciatore di comete, ne scoprì una quindicina e ne osservò molte altre. Si appassionò nel catalogare gli oggetti del cielo inserendo anche una breve descrizione. Usò un modesto riflettore da 19 cm installato presso l'Hotel de Cluny al centro di Parigi. Tra le sue scorribande celesti scoprì e catalogò diversi oggetti famosi tra nebulose, galassie e ammassi, giungendo al numero di 103 oggetti; in seguito, altri astronomi ne aggiunsero altri facendo arrivare il catalogo a 110. Il catalogo di Messier, per quanto innovativo, presentava delle lacune osservative causate dalla modestia dello strumento usato. Herschel infatti dopo quasi un secolo risolse in stelle oggetti che Messier considerava semplici nebulosità.

Herschel e la fortunata scoperta di Urano
William HerschelNel 1781, William Herschel scoprì Urano utilizzando un modesto telescopio da 18 cm. Questa scoperta, che lo fece divenire astronomo del Re, fu totalmente casuale: facendo conteggi stellari per determinare la forma della galassia, notò la presenza di un astro vicino alla stella 1 Geminorum; egli intuì che ciò che aveva all'oculare non era una stella, ma supponeva piuttosto che fosse una cometa, perché aumentando gli ingrandimenti aveva notato un dischetto circolare. Fece così una comunicazione ufficiale alla Royal Society, la quale constatò che egli aveva invece scoperto un pianeta. Nel 1787 scoprì anche due satelliti di Urano, Titania e Oberon, e fu il primo ad osservare anche gli anelli di Urano, anche se l'effetto fu interpretato come un difetto d'ottica; gli anelli infatti verranno confermati solo nel 1977. Nel 1789, con un telescopio da 1,2 m di diametro, osservò per primo due satelliti interni all'anello di Saturno, Encelado e Mimas. Scoprì il sistema doppio #958; Bootis, la doppia Algieba (#945; Leonis), l'ammasso globulare NGC2419 nella Lince. Per ottenere questi risultati eccellenti, Herschel aveva costruito uno dei telescopi più grandi dell'epoca, un newtoniano di ben 1,22 m di diametro e 12,20 m di lunghezza focale. Per costruirlo impiegò tre anni di lavoro dal 1786 al 1789, affinando anche le tecniche di lavorazione dei telescopi e delle ottiche. Inoltre studiò la forma visibile della galassia, tracciandone un disegno completo e intuendone la forma lenticolare.


La meccanica celeste
Giuseppe Luigi Lagrange, oltre ai contributi alla matematica analitica e del calcolo delle funzioni, sviluppò un modello di meccanica celeste molto più complesso e preciso. Nel 1773 notò che era possibile esprimere la legge di Newton in termini di azione di un campo di forza che riempie lo spazio in modo continuo. In questo modo egli teneva ormai in considerazione gli effetti delle perturbazioni causate da altri pianeti su diversi valori come: inclinazione dell'orbita, direzione e lunghezza dell'asse maggiore, eccentricità dell'ellisse. Risultava così, che i corpi celesti pur mantenendo la loro orbita stabilita nel tempo, subivano molteplici influenze da parte degli altri pianeti.

Altro valido contributo alla meccanica celeste fu portato da Pierre Simon Laplace, che scoprì la ciclicità del moto di Giove e Saturno, ciclicità stimata in circa 900 anni, per cui i pianeti appaiono accelerare o decelerare reciprocamente. Tale variazione era già nota anche a Lagrange, ma solo Laplace ricondusse la variazione a un moto ciclico, confermando l'idea che il sistema solare presenta dei moti non casuali anche su grande scala temporale.


Le invenzioni di Fraunhofer e le misure di parallasse di Bessel
Righe di FraunhoferJoseph Von Fraunhofer fu l'artefice di una piccola rivoluzione strumentale. Nel 1812 cominciò a studiare un metodo per ottenere lastre di vetro prive di aberrazioni dell'immagine. Per raggiungere lo scopo, aveva bisogno di lavorare su ogni singolo colore prodotto dalle aberrazioni. Egli sfruttò allora il metodo del prisma con cui scompose la luce solare, ma nella scomposizione dei colori notò che lo spettro prodotto manteneva diverse righe nere del tutto indipendenti dal vetro usato: aveva scoperto le righe di Fraunhofer. Le righe nere infatti non dipendevano dall'ottica, ma dalla luce solare. Esse in realtà erano già state osservate da altri ottici, ma Fraunhofer fu il primo che ne annotò la posizione secondo la denominazione delle lettere dell'alfabeto; sarà successivamente Kirchhoff ad interpretare correttamente l'origine delle strane righe nere. Fraunhofer ebbe anche per primo l'intuizione di usare un reticolo di diffrazione, al posto del prisma, per la scomposizione della luce. Con questo mezzo l'immagine degli spettri risultava più precisa di quella ottenibile col prisma, introducendo così un nuovo modello di spettroscopio. Perfezionò poi uno strumento che avrebbe premesso ulteriori scoperte astronomiche, l'eliometro; dapprima usato per la misura del diametro solare, a seguito dei perfezionamenti di Fraunhofer, Bessel riuscì ad ottenere la misura della prima parallasse stellare.

Friedrich Wilhelm Bessel fu uno dei più rappresentativi astronomi del XIX secolo. Nel 1838, grazie all'introduzione dell'eliometro di Fraunhofer, Bessel riuscì ad osservare la prima parallasse stellare e dunque a determinare la distanza della stella. Per la prima misura Bessel scelse la stella 61 Cygni, dotata di maggior moto proprio rispetto alle altre; dopo sei mesi di osservazioni riscontrò una parallasse che determinava una distanza di 10,7 anni luce, valore assai preciso anche per i nostri giorni. Nel 1844, dopo decenni di osservazioni, Bessel annunciò che Sirio ruotava attorno al baricentro di un sistema, ossia che Sirio comprendeva un oggetto invisibile. Queste scoperte aprivano la strada allo studio di posizione degli astri, nonché alla consapevolezza che l'universo visibile mostrava dimensioni enormi, ben oltre le aspettative iniziali.


La formazione del sistema solare
Le conoscenze oramai raggiunte nel campo della meccanica celeste permisero lo sviluppo di teorie legate alla formazione del sistema solare partendo dalla prima teoria esposta: quella dei vortici di Cartesio. Georges Louis De Leclere Buffon avanzò l'ipotesi che il sistema solare fosse nato dal Sole a seguito del passaggio ravvicinato di una stella: il corpo avrebbe estratto materia dal Sole creando i corpi planetari. Questa idea venne subito definita come teoria catastrofica. Nel 1755, il filosofo tedesco Kant e successivamente nel 1796 in modo indipendente anche Laplace, esposero una teoria nuova definita poi come teoria di Kant-Laplace. La teoria prevedeva la nascita del sistema solare da una nube di gas, la quale, posta in rotazione per non collassare su sé stessa, avrebbe formato al centro la stella che conosciamo, il Sole, mentre all'esterno il gas si sarebbe aggregato formando i proto-pianeti; nel tempo il Sole si sarebbe acceso come stella, e spazzata via la presenza di nubi e polveri ricadute poi sulle superfici planetarie, i cosiddetti proto-pianeti sarebbero divenuti quelli che conosciamo ora. Questa teoria, tuttora accreditata, spiega ad esempio il perché i pianeti gassosi si siano mantenuti all'esterno del sistema, nonché la disposizione uniforme sul piano dell'eclittica. Essa però mantiene delle incongruenze, ad esempio non si sa per quale motivo il materiale nebulare si sarebbe dovuto aggregare…


L'Ottocento
La scoperta del primo asteroide
Il primo gennaio 1801, Giuseppe Piazzi da Palermo scoprì un oggetto celeste che a prima vista sembrava una cometa. Divulgata la scoperta, Gauss cominciò a osservare il corpo per determinarne i parametri orbitali, ma l'oggetto passò dietro il Sole; fu Olbers che lo ritrovò nel 1802. Valutata quindi l'orbita e la distanza, Herschel definì l'oggetto asteroide, in quanto era posto in un'orbita tra Marte e Giove; Piazzi poi lo battezzò col nome di Cerere. Nello stesso anno della scoperta di Cerere, Olbers scoprì Pallade e Vesta.


Il Sole e il ciclo delle macchie
Macchie solariNel 1848, Johann Rudolf Wolf introdusse un metodo di misura giornaliero delle macchie solari, detto anche “numero di Wolf”; questo valore tiene conto del numero di gruppi di macchie presenti e di quello singolo, seguito da un fattore K di valutazione delle condizioni di osservazione. Subito dopo l'introduzione di questo metodo, è stato possibile calcolare l'andamento ciclico dell'attività solare dal 1700 ad oggi, scoprendo l'esistenza di svariati cicli di attività solare, il più evidente dei quali è quello di 11,04 anni (si veda: Ciclo undecennale dell'attività solare).

Richard Christopher Carrington ricavò la legge di rotazione differenziale del Sole, e definì la “migrazione” delle macchie verso l'equatore nel corso del ciclo. La migrazione in latitudine è stata scoperta disponendo tutte le macchie osservate in un grafico a forma di farfalla.
Il primo settembre 1859, Carrington osservò una nuova classe di fenomeni solari: i brillamenti. Egli vide una specie di lampo che saettava tra due macchie con una durata di cinque minuti; poco dopo avvenne una tempesta magnetica, gli aghi delle bussole impazzirono e apparve il giorno dopo un'aurora boreale. Questo fenomeno si ripete tutte le volte che sul Sole avviene un brillamento.


La movimentata scoperta di Nettuno
Il 23 settembre del 1846 si ebbe la scoperta di Nettuno. Le vicende legate alla sua scoperta furono piuttosto complesse: nel 1821 un collaboratore di Laplace, Alexis Bouvard, pubblicò degli effemeridi di Urano, ma nell'introduzione al libro fece notare che vi erano delle discrepanze di posizione del pianeta; egli pensò subito all'idea di un corpo perturbatore. Nel 1823, Bessel iniziò una serie di osservazioni alla ricerca del pianeta, confrontando i dati di Bouvard, senza però ottenere risultati. George Biddell Airy, nominato direttore dell'Osservatorio di Cambridge, rilevò anch'egli queste discrepanze tra calcoli e osservazione, presentando un rapporto ufficiale. John Couch Adams, dopo alcuni mesi di lavoro, concluse che le perturbazioni erano causate da un pianeta; dopo due anni di analisi delle osservazioni indicò in quale posizione potesse trovarsi il nuovo corpo. Anche Urbain Le Verrier, dopo aver ottenuto le stesse conclusioni, sollecitò i colleghi francesi alla ricerca, ma non avendo avuto grandi consensi si rivolse successivamente, presso l'Osservatorio di Berlino, a Johann Gottfried Galle. Galle individuò alla prima notte di osservazione il nuovo pianeta dopo ben 25 anni di tentativi. La scoperta fu il trionfo della meccanica celeste e dei calcoli matematici.


Lo spettro degli elementi chimici
Robert Wilhelm Bunsen si dedicò ad una serie di esperimenti sull'azione chimica della luce sfruttando la sua celebre invenzione: il becco Bunsen (un bruciatore a gas regolabile). Egli cercò di identificare le sostanze chimiche mediante la colorazione della fiamma posta a contatto con le sostanze. Dapprima provò a identificare i tenui colori con dei filtri colorati, senza però ottenere una misura precisa; successivamente, l'amico Gustav Robert Kirchhoff suggerì l'idea di osservare la fiamma attraverso uno spettroscopio. L'idea era talmente valida che entrambi si misero a studiarne gli effetti con le diverse sostanze, scoprendo la correlazione tra sostanze e righe di Fraunhofer. A riprova del reale collegamento tra spettro ed elemento chimico, effettuarono altri esperimenti invertendo la condizione, e notando quindi come le stesse righe venissero prodotte, in emissione o in assorbimento, in base alle condizioni del materiale.


I primi passi della spettroscopia
Angelo Secchi proseguì l'opera appena avviata da Kirchhoff classificando le stelle in base al loro spettro. Egli infatti era convinto che su grande scala le stelle presentassero una logica suddivisione. Sfruttando uno spettrografo, Secchi distinse le stelle in quattro categorie: Tipo I, II, III e IV. La divisione spettrale divenne ancor più importante quando si scoprì il legame con la temperatura superficiale. Secchi ebbe così modo di compilare il primo catalogo spettrale della storia dell'astronomia.

William Huggins, dopo aver letto il rapporto di Kirchhoff sull'identificazione degli elementi chimici tramite lo spettro, decise di compiere ricerche in questo campo. Usando appunto uno spettrografo, iniziò la sua ricerca su altri oggetti del cielo: sulle comete individuò la presenza di idrocarburi gassosi, e nel 1866 puntò il suo strumento su una nova nella Corona Boreale, accorgendosi di una immane eruzione di idrogeno e altri gas. In questo modo avviò lo studio sui meccanismi delle nove, in quanto si pensava ancora fossero delle stelle nuove, o oggetti in rapido movimento.

Joseph Lockyer scoprì che sul Sole apparivano le righe di un elemento sconosciuto, chiamato poi elio. La sua fu una scoperta fondamentale per l'astronomia, poiché l'elio è una sostanza chiave nel processo evolutivo delle stelle. Nel 1890, durante un viaggio in Grecia, osservò l'orientamento dei templi greci e constatò che gli assi erano allineati sulla direzione del sorgere e tramontare del Sole. Suppose allora che anche i templi egizi potevano avere degli orientamenti. Intraprese così lo studio di alcuni monumenti, riscontrando che sette templi egizi erano orientati verso il sorgere di Sirio. Le scoperte di Lockyer furono subito apprezzate. Egli trovò poi l'orientamento del tempio di Ammon-Ra a Karnak, e successivamente estese le sue ricerche a Stonehenge, riuscendo a stabilire la data della loro fondazione.


Il Novecento

Il meccanismo delle stelle
Diagramma H-RUn valido lavoro semplificativo fu portato avanti separatamente da Ejnar Hertzsprung e da Henry Norris Russell. Herztsprung scoprì una teoria classificatoria delle stelle di uno stesso tipo spettrale secondo la loro luminosità, la temperatura e la massa. L'intuizione matematica sfocerà poi in un diagramma sviluppato parallelamente da Russell dove si rappresentano le tipologie di stelle secondo uno schema logico e secondo classi di stelle. Tuttavia, seppur il diagramma Hertzsprung-Russell chiariva le tipologie e i comportamenti delle stelle, restava ancora da capire quale fosse il meccanismo evolutivo e la dinamica interna delle stelle.

Arthur Stanley Eddington sin dall'inizio dei suoi studi si interessò dell'equilibrio interno delle stelle e dei connessi meccanismi. Egli applicò la legge dei gas perfetti alle stelle, riuscendo a calcolare la luminosità di una stella qualora fossero noti la massa e il raggio. Successivamente si occupò del meccanismo delle Cefeidi scoperte da Henrietta Swan Leavitt. Eddington intuì che alle variazioni di luminosità erano associate variazioni di raggio della stella. I suoi studi sull'equilibrio delle stelle descrivevano il modello stellare come un equilibrio di forze: il variare della forza gravitazionale e di quella raggiante determinava una variazione dei meccanismi interni della stella. Eddington tra l'altro intuì che il “motore” delle stelle era legato a una qualche forma di radioattività che agiva rompendo i nuclei degli elementi secondo qualche reazione sub-atomica. Nel 1920 egli considerò l'idrogeno quale responsabile di reazioni nucleari innescate dalle pressioni e temperature interne delle stelle; a quelle condizioni il processo di rottura dei nuclei tende ad auto alimentarsi innescando delle reazioni esotermiche.


L'espansione dell'Universo
Espansione dell'UniversoLo scienziato che ha rivoluzionato il comune modo d'intendere la materia e l'universo è stato senza dubbio Albert Einstein. Nel 1905 pubblicò la sua “Teoria della relatività ristretta” che avrebbe sconvolto le basi della fisica classica. In essa, ad esempio, si enunciava che il tempo non è da considerarsi un concetto assoluto, ma relativo, in quanto esso varia in base alla velocità dell'osservatore. Nella relatività ristretta si trova anche la famosa formula E=mc², e la spiegazione delle emissioni luminose in quanti di energia chiamati successivamente fotoni; in questo modo fu anche possibile spiegare l'effetto fotoelettrico, la cui interpretazione è impossibile con la fisica classica. Nel 1916 espose in forma definitiva la sua “Teoria della relatività generale”, secondo la quale la gravità di un corpo è in grado di modificare le proprietà dello spazio fisico, ipotizzando così la curvatura dello spazio-tempo. La validità delle sue affermazioni teoriche fu confermata sperimentalmente grazie alle misure della rotazione dell'orientamento dell'orbita di Mercurio, dal fenomeno di redshift delle stelle, e infine dalla curvatura dei raggi luminosi nei campi gravitazionali. Nel 1950 pubblicò un'appendice alla sua teoria della relatività nella quale spiegava lo spazio quadridimensionale e l'idea di un universo come entità finita in espansione. Successivamente, nel 1953 pubblicò una seconda appendice in cui esponeva i principi di una “Teoria del campo unificato” mediante la quale si mette in relazione la gravitazione e l'elettromagnetismo, il che ricondurrebbe ad un'unica teoria i fenomeni fisici macroscopici. Tale idea adesso prende il nome di “Teoria del tutto” in cui si ipotizza l'unione di tutte le forze fisiche in un'unica teoria.

Nel 1929, Edwin Hubble osservò uno spostamento dello spettro delle galassie verso il rosso. Questo spostamento, detto anche redshift, poteva essere spiegato solamente come un effetto dell'allontanamento delle galassie le une dalle altre. Riportando su di un diagramma la velocità di allontanamento delle galassie e la distanza, notò che il grafico aveva un andamento lineare, il che significava che all'aumentare della distanza la velocità delle galassie aumentava. Ma non solo: l'osservazione di oggetti distanti riporterebbe la visione dell'Universo come era nel passato. Egli quindi introdusse una famosa costante (detta poi "costante di Hubble") che lega questa importante relazione.


La nostra galassia (via lattea) e le galassie
Fritz Zwicky fu un valido rivale di Hubble. Utilizzando il telescopio del Monte Palomar, scoprì un gran numero di galassie compatte, costituite dal solo nucleo. Dallo studio approfondito della loro distribuzione notò la tendenza delle galassie ad unirsi in “superammassi”. Già dal 1933 Zwicky ipotizzava la possibile esistenza della materia oscura: osservando le interazioni gravitazionali di alcune galassie, notò che la materia visibile era insufficiente per tenerle unite, e stimò quindi la presenza di una quantità di materia complessiva venti volte superiore a quella visibile. Nal 1934, dopo la scoperta in laboratori terrestri dell'esistenza dei neutroni, Zwicky assieme a Baade ipotizzò che le esplosioni di supernovae avrebbero potuto lasciare come residuo un nucleo consistente di neutroni, ossia una "stella di neutroni".

Per più di trent'anni la loro esistenza è stata considerata una pura speculazione teorica. In seguito però, nel 1967, Jocelyn Bell e Anthony Hewish rilevarono dei segnali radio pulsanti provenienti da una direzione fissa nello spazio. A seguito di successive osservazioni si scoprì che le pulsazioni, della durata di circa 2 centesimi di secondo, si ripetevano con intervalli costanti di circa 1 secondo: le pulsazioni provenivano da una "pulsar", ossia da una stella di neutroni.


I buchi neri
Disegno di stella catturata da un buco neroLa prima ipotesi di buco nero la formulò nel 1796 Laplace, il quale ipotizzò l'esistenza di stelle "invisibili", in quanto talmente massive da rendere impossibile la fuoriuscita della luce da esse.

Quando fu introdotta la "Relatività Generale", l'esistenza dei buchi neri ebbe un supporto teorico non indifferente. Karl Schwarzschild infatti, sfruttando le basi teoriche della Relatività, postulò l'esistenza del “raggio di Schwarzschild” o “orizzonte degli eventi”, una regione attorno ad un buco nero dalla quale la luce non può sfuggire. Il raggio di questa regione dipende dalla massa del corpo, e il suo valore è di 2,95 volte la massa del corpo stesso, espresso in masse solari.

Robert Oppenheimer dimostrò nel 1939 come un corpo di grande massa, che abbia consumato il suo combustibile, possa collassare per formare un buco nero. La sua dimostrazione però restò confinata nella teoria fino al 1965, quando fu scoperto, a 7000 anni luce di distanza dalla Terra, un possibile buco nero, Cygnus x-1: un oggetto troppo grande per essere una stella di neutroni e troppo piccolo per essere una stella comune.


Lo stato stazionario
Dopo il secondo conflitto mondiale, gli scienziati Hoyle, Gold e Bondi, indipendentemente proposero un modello di universo stazionario. Per non cadere in contraddizione con la legge di Hubble (dunque sull'evidenza di un universo in espansione), ipotizzarono un Universo in movimento, ma stazionario nella sua evoluzione, ossia immutabile nel tempo e uniforme. La sua densità quindi, invece di diminuire come nel modello in espansione, si manterrebbe costante grazie ad una continua creazione di materia dal "nulla"; in questo modo si avvalorerebbe il principio cosmologico perfetto, che ipotizza un Universo uniforme nella sua distribuzione e uguale nel tempo, ammettendo l'uguaglianza delle leggi fisiche in ogni luogo. Infatti il modello in espansione pone dei dubbi su tale ipotesi.

Fred Hoyle, fervido sostenitore dello stato stazionario, fu anche lo scienziato che suggerì l'idea che il “combustibile” nucleare delle stelle fosse l'elio, il quale avrebbe formato nel nucleo delle stelle svariati elementi, tra cui il carbonio, l'ossigeno e persino elementi pesanti come il ferro.


La radiazione di fondo
Mappe della radiazione di fondoNel 1948, presso la George Washington University, Alpher, Gamow e Herman ipotizzarono che subito dopo il Big Bang, quando l'Universo aveva un'età stimabile in frazioni di secondo, doveva essersi prodotta una radiazione cosmica di fondo per effetto dell'espansione, con un valore di 5 K. Inoltre, George Gamow ipotizzava che l'universo primordiale fosse estremamente caldo, e che la successiva espansione, col conseguente abbassamento delle temperature, avrebbe poi “congelato” la composizione della materia primordiale. Il suo calcolo infatti sarà successivamente confermato dalle osservazioni.

Nel 1965, Arno Penzias e Robert Woodrow Wilson, dei Bell Telephone Laboratories in New Jersey, mentre compivano ricerche su un disturbo continuo alle comunicazioni intercontinentali, scoprirono l'esistenza di una radiazione costante, priva di variazioni stagionali o di direzioni preferenziali. Casualmente, dei ricercatori dell'università di Princeton seppero dei risultati di Penzias e Wilson, interpretando la scoperta come la prova dell'esistenza della radiazione di fondo. Successivamente si ebbe conferma che essa emetteva a 3 K: era la conferma dell'esistenza della radiazione che permea l'Universo, il cosiddetto "eco del Big Bang". La sconvolgente scoperta ha quasi soppiantato la teoria dello stato stazionario, dando prova evidente dell'origine e dell'espansione dell'Universo. Per la scoperta, Penzias e Wilson ricevettero il Premio Nobel.


La teoria inflazionaria
Nel 1981, il fisico Alan Guth ipotizzò la teoria dell'universo inflazionario. A seguito di ricerche effettuate dai cosmologi, si è giunti a comprendere che non tutta la materia esercita un'attrazione gravitazionale: si pensa, infatti, che ad alte temperature e densità esiste della materia che “antigravita”. Con questo presupposto, Guth ha ipotizzato la possibilità che nelle prime frazioni di secondi di vita dell'universo, precisamente nell'intervallo tra i 10-35 e i 10-33 secondi dopo il Big Bang, l'influenza dell'antimateria abbia favorito un'espansione fortemente accelerata. In questo modo si potrebbe spiegare l'apparente omogeneità dell'Universo. Tale teoria necessita ancora di evidenze osservative che possano avvalorare la sua sostenibilità.


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