PERCHE' VOTARE SI AL REFERENDUM NO TRIV
Inviato: 13/04/2016, 8:42
APPELLO DEL COORDINAMENTO NAZIONALE NO TRIV
DIFENDI IL TUO MARE!
AL REFERENDUM DEL 17 APRILE 2016 VOTA “SÌ”!
*****
Il referendum del 17 aprile 2016
Il prossimo 17 aprile si terrà un referendum popolare. Si tratta di un referendum
abrogativo, e cioè di uno dei pochi strumenti di democrazia diretta che la Costituzione
italiana prevede per richiedere la cancellazione, in tutto o in parte, di una legge dello
Stato.
Perché la proposta soggetta a referendum sia approvata occorre che vada a votare
almeno il 50% più uno degli aventi diritto al voto e che la maggioranza dei votanti si
esprima con un “Sì”.
Hanno diritto di votare al referendum tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto la
maggiore età. Votando “Sì” i cittadini avranno la possibilità di cancellare la norma
sottoposta a referendum.
Dove si voterà?
Si voterà in tutta Italia e non solo nelle Regioni che hanno promosso il referendum.
Al referendum potranno votare anche gli italiani residenti all’estero.
Quando si voterà?
Sarà possibile votare per il referendum soltanto nella giornata di domenica 17 aprile.
Cosa si chiede esattamente con il referendum del 17 aprile 2016?
Con il referendum del 17 aprile si chiede di cancellare la norma che consente alle società
petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste
italiane senza limiti di tempo. Nonostante, infatti, le società petrolifere non possano più
richiedere per il futuro nuove concessioni per estrarre in mare entro le 12 miglia, le
ricerche e le attività petrolifere già in corso non avrebbero più scadenza certa.
Se si vuole mettere definitivamente al riparo i nostri mari dalle attività petrolifere
occorre votare “Sì” al referendum. In questo modo, le attività petrolifere andranno
progressivamente a cessare, secondo la scadenza “naturale” fissata al momento
del rilascio delle concessioni.
Qual è il testo del quesito?
Il testo del quesito è il seguente: «Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo
periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come
sostituito dal comma 239 dell'art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)”,
limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto
degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?».
È possibile che, qualora il referendum raggiunga la maggioranza dei “Sì”, il risultato
venga poi “tradito”?
A seguito di un esito positivo del referendum, la cancellazione della norma che al
momento consente di estrarre gas e petrolio senza limiti di tempo sarebbe
immediatamente operativa.
L’obiettivo del referendum è chiaro e mira a far sì che il divieto di estrazione entro le
12 miglia marine sia assoluto. Come la Corte costituzionale ha più volte precisato, il
Parlamento non può successivamente modificare il risultato che si è avuto con il
referendum, altrimenti lederebbe la volontà popolare espressa attraverso la consultazione
referendaria.
Qualora però non si raggiungesse il quorum previsto perché il referendum sia valido (50%
più uno degli aventi diritto al voto), il Parlamento potrebbe fare ciò che vuole: anche
mettere in discussione la zona off limits.
È vero che se vincesse il “Sì” si perderebbero moltissimi posti di lavoro?
Un’eventuale vittoria del “Sì” non farebbe perdere alcun posto di lavoro: neppure uno. Un
esito positivo del referendum non farebbe cessare immediatamente, ma solo
progressivamente, alla naturale scadenza, ogni attività petrolifera in corso.
Prima che il Parlamento introducesse la norma sulla quale gli italiani sono chiamati alle
urne il prossimo 17 aprile, le concessioni per estrarre avevano normalmente una durata di
trenta anni (più altri venti, al massimo, di proroga). E questo ogni società petrolifera lo
sapeva al momento del rilascio della concessione.
Oggi, di fatto, non è più così: se una società petrolifera ha ottenuto una concessione
nel 1996 può – in virtù di quella norma – estrarre fino a quando lo desideri.
Se, invece, al referendum vincerà il “Sì”, la società petrolifera che ha ottenuto una
concessione nel 1996 potrà estrarre per dieci anni, ancora e basta, e cioè fino al
2026. Dopodiché quello specifico tratto di mare interessato dall’estrazione sarà libero per
sempre.
L’Italia dipende fortemente dalle importazioni di petrolio e gas dall’estero. Non
sarebbe opportuno, al contrario, investire nella ricerca degli idrocarburi e
incrementare l’estrazione di gas e petrolio?
L'aumento delle estrazioni di gas e petrolio nei nostri mari non è in alcun modo
direttamente collegato al soddisfacimento del fabbisogno energetico nazionale.
Gli idrocarburi presenti in Italia appartengono al patrimonio dello Stato, ma lo Stato dà in
concessione a società private – per lo più straniere – la possibilità di sfruttare i giacimenti
esistenti. Questo significa che le società private divengono proprietarie di ciò che
viene estratto e possono disporne come meglio credano.
Allo Stato esse sono tenute a versare solo un importo corrispondente al 7% del valore
della quantità di petrolio estratto o al 10% del valore della quantità di gas estratto.
Non tutta la quantità di petrolio e gas estratto è però soggetta a royalty.
Le società petrolifere non versano niente alle casse dello Stato per le prime 50.000
tonnellate di petrolio e per i primi 80 milioni di metri cubi di gas estratti ogni anno e godono
di un sistema di agevolazioni e incentivi fiscali tra i più favorevoli al mondo.
Nell’ultimo anno dalle royalty provenienti da tutti gli idrocarburi estratti sono arrivati
alle casse dello Stato solo 340 milioni di euro.
Il rilancio delle attività petrolifere non costituisce un’occasione di crescita per
l’Italia?
Secondo le ultime stime del Ministero dello Sviluppo Economico effettuate sulle riserve
certe e a fronte dei consumi annui nel nostro Paese, anche qualora le estrazioni petrolifere
e di gas fossero collegate al fabbisogno energetico nazionale, le risorse rinvenute
sarebbero comunque esigue e del tutto insufficienti. Considerando tutto il petrolio presente
sotto il mare italiano, questo sarebbe appena sufficiente a coprire il fabbisogno nazionale
di greggio per 7 settimane. Le riserve di gas per appena 6 mesi. Le ricchezze dell’Italia
sono altre:
Il turismo. Si stima che le presenze complessive nelle destinazioni marine italiane siano
state circa 253 milioni nel corso del 2013, con un impatto economico stimato in oltre 19
miliardi e 149 milioni di euro. Importante sottolineare infine come secondo il rapporto
“Impresa Turismo 2013” (Unioncamere, 2013) il patrimonio naturalistico delle nostre
destinazioni balneari è la prima motivazione di visita per i turisti stranieri.
La pesca, che si esercita lungo i 7.456 km di costa entro le 12 miglia marine, produce
circa il 15% del PIL marittimo e dà lavoro a circa 60.000 persone (dati ISFOL).
Il patrimonio culturale che vale 5,4% del PIL e che dà lavoro a circa 1,5 milioni di
persone (dati Federculture), con un fatturato annuo di circa 40 miliardi di euro.
Il comparto agroalimentare che vale l’8,7% del PIL, dà lavoro a 3 milioni e 300.000
persone con un fatturato annuo di 119 miliardi di euro e che nel solo 2014 ha conosciuto
l’esportazione di prodotti per un fatturato di circa 34,4 miliardi di euro (dati Nomisma).
E soprattutto la piccola e media impresa, che conta circa 4,2 milioni di piccole e medie
“industrie” (e, cioè, il 99,8% del totale delle industrie italiane), e che costituisce il vero
motore dell’intero sistema economico nazionale: tali imprese assorbono l'81,7% del totale
dei lavoratori del nostro Paese, generano il 58,5% del valore delle esportazioni e
contribuiscono al 70,8% del PIL. Il solo comparto manifatturiero, che conta circa 530.000
aziende, occupa circa 4,8 milioni di addetti, fattura 230 miliardi di euro l’anno, equivalente
al 13% del PIL nazionale, e contribuisce al totale delle esportazioni del Made in Italy nella
misura del 53,6% (dati Confapi).
Però gli italiani utilizzano sempre di più la macchina per spostarsi. Non è un
controsenso?
Ciò che si estrae in Italia non è necessariamente destinato alla produzione del carburante
per le autovetture e ancor meno per quelle in circolazione nel nostro Paese. Tuttavia gli
elevati consumi di petrolio nel settore dei trasporti potrebbero essere notevolmente
diminuiti con una seria politica di mobilità sostenibile per le persone e per le merci nelle
aree urbane, ma non solo. Secondo l’Unione europea, rispetto agli altri Stati membri, al
riguardo l’Italia è agli ultimi posti.
Cosa ci si attende?
Il voto referendario è uno dei pochi strumenti di democrazia diretta a disposizione degli
italiani ed è giusto che i cittadini abbiano la possibilità di esprimersi anche sul futuro
energetico del nostro Paese.
Nel dicembre del 2015 l’Italia ha partecipato alla Conferenza ONU sui cambiamenti
climatici tenutasi a Parigi, impegnandosi, assieme ad altri 194 Paesi, a contenere il
riscaldamento globale entro 1,5 gradi centigradi e a seguire la strada della
decarbonizzazione.
Fermare le trivellazioni in mare è in linea con gli impegni presi a Parigi e contribuirà al
raggiungimento di quell’obiettivo.
È necessario, nel frattempo, affrontare il problema della transizione energetica, puntando
anche sul risparmio e sull’efficienza energetica e investendo da subito nel settore
delle energie rinnovabili, che potrà generare progressivamente migliaia di nuovi
posti di lavoro.
Il tempo delle fonti fossili è scaduto: è ora di aprire ad un modello economico alternativo.
Perché questo referendum?
Per tutelare i mari italiani, anzitutto. Il mare ricopre il 71% della superficie del Pianeta e
svolge un ruolo fondamentale per la vita dell’uomo sulla terra. Con la sua enorme
moltitudine di esseri viventi vegetali e animali – dal fitoplancton alle grandi balene –
produce, se in buona salute, il 50% dell’ossigeno che respiriamo e assorbe fino ad 1/3
delle emissioni di anidride carbonica prodotta dalle attività antropiche.
La ricerca e l’estrazione di idrocarburi ha un notevole impatto sulla vita del mare. Le
attività di routine delle piattaforme possono rilasciare sostanze chimiche inquinanti
e pericolose nell’ecosistema marino, con un forte impatto sull’ambiente e sugli esseri
viventi, come dimostrano i dati del ministero dell’Ambiente relativi ai controlli eseguiti nei
pressi delle piattaforme in attività oggi nel mare italiano.
Anche la ricerca del gas e del petrolio, che utilizza la tecnica dell’airgun (esplosioni di aria
compressa), incide, in particolar modo, sulla fauna marina: le emissioni acustiche dovute
all’utilizzo di tale tecnica possono elevare il livello di stress dei mammiferi marini,
modificare il loro comportamento e indebolire il loro sistema immunitario. Possono
provocare inoltre danni diretti a un’ampia gamma di organismi marini – cetacei, tartarughe,
pesci, molluschi e crostacei – e alterare la catena trofica.
Senza considerare che i mari italiani sono mari “chiusi” e un incidente anche di
piccole dimensioni potrebbe mettere a repentaglio tutto questo. Un eventuale
incidente – nei pozzi petroliferi offshore e/o durante il trasporto di petrolio – sarebbe fonte
di danni incalcolabili con effetti immediati e a lungo termine sull’ambiente, la qualità
della vita e con gravi ripercussioni gravissime sull’economia turistica e della pesca.
DIFENDI IL TUO MARE!
AL REFERENDUM DEL 17 APRILE 2016 VOTA “SÌ”!
*****
Il referendum del 17 aprile 2016
Il prossimo 17 aprile si terrà un referendum popolare. Si tratta di un referendum
abrogativo, e cioè di uno dei pochi strumenti di democrazia diretta che la Costituzione
italiana prevede per richiedere la cancellazione, in tutto o in parte, di una legge dello
Stato.
Perché la proposta soggetta a referendum sia approvata occorre che vada a votare
almeno il 50% più uno degli aventi diritto al voto e che la maggioranza dei votanti si
esprima con un “Sì”.
Hanno diritto di votare al referendum tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto la
maggiore età. Votando “Sì” i cittadini avranno la possibilità di cancellare la norma
sottoposta a referendum.
Dove si voterà?
Si voterà in tutta Italia e non solo nelle Regioni che hanno promosso il referendum.
Al referendum potranno votare anche gli italiani residenti all’estero.
Quando si voterà?
Sarà possibile votare per il referendum soltanto nella giornata di domenica 17 aprile.
Cosa si chiede esattamente con il referendum del 17 aprile 2016?
Con il referendum del 17 aprile si chiede di cancellare la norma che consente alle società
petrolifere di cercare ed estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste
italiane senza limiti di tempo. Nonostante, infatti, le società petrolifere non possano più
richiedere per il futuro nuove concessioni per estrarre in mare entro le 12 miglia, le
ricerche e le attività petrolifere già in corso non avrebbero più scadenza certa.
Se si vuole mettere definitivamente al riparo i nostri mari dalle attività petrolifere
occorre votare “Sì” al referendum. In questo modo, le attività petrolifere andranno
progressivamente a cessare, secondo la scadenza “naturale” fissata al momento
del rilascio delle concessioni.
Qual è il testo del quesito?
Il testo del quesito è il seguente: «Volete voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo
periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come
sostituito dal comma 239 dell'art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di Stabilità 2016)”,
limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto
degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?».
È possibile che, qualora il referendum raggiunga la maggioranza dei “Sì”, il risultato
venga poi “tradito”?
A seguito di un esito positivo del referendum, la cancellazione della norma che al
momento consente di estrarre gas e petrolio senza limiti di tempo sarebbe
immediatamente operativa.
L’obiettivo del referendum è chiaro e mira a far sì che il divieto di estrazione entro le
12 miglia marine sia assoluto. Come la Corte costituzionale ha più volte precisato, il
Parlamento non può successivamente modificare il risultato che si è avuto con il
referendum, altrimenti lederebbe la volontà popolare espressa attraverso la consultazione
referendaria.
Qualora però non si raggiungesse il quorum previsto perché il referendum sia valido (50%
più uno degli aventi diritto al voto), il Parlamento potrebbe fare ciò che vuole: anche
mettere in discussione la zona off limits.
È vero che se vincesse il “Sì” si perderebbero moltissimi posti di lavoro?
Un’eventuale vittoria del “Sì” non farebbe perdere alcun posto di lavoro: neppure uno. Un
esito positivo del referendum non farebbe cessare immediatamente, ma solo
progressivamente, alla naturale scadenza, ogni attività petrolifera in corso.
Prima che il Parlamento introducesse la norma sulla quale gli italiani sono chiamati alle
urne il prossimo 17 aprile, le concessioni per estrarre avevano normalmente una durata di
trenta anni (più altri venti, al massimo, di proroga). E questo ogni società petrolifera lo
sapeva al momento del rilascio della concessione.
Oggi, di fatto, non è più così: se una società petrolifera ha ottenuto una concessione
nel 1996 può – in virtù di quella norma – estrarre fino a quando lo desideri.
Se, invece, al referendum vincerà il “Sì”, la società petrolifera che ha ottenuto una
concessione nel 1996 potrà estrarre per dieci anni, ancora e basta, e cioè fino al
2026. Dopodiché quello specifico tratto di mare interessato dall’estrazione sarà libero per
sempre.
L’Italia dipende fortemente dalle importazioni di petrolio e gas dall’estero. Non
sarebbe opportuno, al contrario, investire nella ricerca degli idrocarburi e
incrementare l’estrazione di gas e petrolio?
L'aumento delle estrazioni di gas e petrolio nei nostri mari non è in alcun modo
direttamente collegato al soddisfacimento del fabbisogno energetico nazionale.
Gli idrocarburi presenti in Italia appartengono al patrimonio dello Stato, ma lo Stato dà in
concessione a società private – per lo più straniere – la possibilità di sfruttare i giacimenti
esistenti. Questo significa che le società private divengono proprietarie di ciò che
viene estratto e possono disporne come meglio credano.
Allo Stato esse sono tenute a versare solo un importo corrispondente al 7% del valore
della quantità di petrolio estratto o al 10% del valore della quantità di gas estratto.
Non tutta la quantità di petrolio e gas estratto è però soggetta a royalty.
Le società petrolifere non versano niente alle casse dello Stato per le prime 50.000
tonnellate di petrolio e per i primi 80 milioni di metri cubi di gas estratti ogni anno e godono
di un sistema di agevolazioni e incentivi fiscali tra i più favorevoli al mondo.
Nell’ultimo anno dalle royalty provenienti da tutti gli idrocarburi estratti sono arrivati
alle casse dello Stato solo 340 milioni di euro.
Il rilancio delle attività petrolifere non costituisce un’occasione di crescita per
l’Italia?
Secondo le ultime stime del Ministero dello Sviluppo Economico effettuate sulle riserve
certe e a fronte dei consumi annui nel nostro Paese, anche qualora le estrazioni petrolifere
e di gas fossero collegate al fabbisogno energetico nazionale, le risorse rinvenute
sarebbero comunque esigue e del tutto insufficienti. Considerando tutto il petrolio presente
sotto il mare italiano, questo sarebbe appena sufficiente a coprire il fabbisogno nazionale
di greggio per 7 settimane. Le riserve di gas per appena 6 mesi. Le ricchezze dell’Italia
sono altre:
Il turismo. Si stima che le presenze complessive nelle destinazioni marine italiane siano
state circa 253 milioni nel corso del 2013, con un impatto economico stimato in oltre 19
miliardi e 149 milioni di euro. Importante sottolineare infine come secondo il rapporto
“Impresa Turismo 2013” (Unioncamere, 2013) il patrimonio naturalistico delle nostre
destinazioni balneari è la prima motivazione di visita per i turisti stranieri.
La pesca, che si esercita lungo i 7.456 km di costa entro le 12 miglia marine, produce
circa il 15% del PIL marittimo e dà lavoro a circa 60.000 persone (dati ISFOL).
Il patrimonio culturale che vale 5,4% del PIL e che dà lavoro a circa 1,5 milioni di
persone (dati Federculture), con un fatturato annuo di circa 40 miliardi di euro.
Il comparto agroalimentare che vale l’8,7% del PIL, dà lavoro a 3 milioni e 300.000
persone con un fatturato annuo di 119 miliardi di euro e che nel solo 2014 ha conosciuto
l’esportazione di prodotti per un fatturato di circa 34,4 miliardi di euro (dati Nomisma).
E soprattutto la piccola e media impresa, che conta circa 4,2 milioni di piccole e medie
“industrie” (e, cioè, il 99,8% del totale delle industrie italiane), e che costituisce il vero
motore dell’intero sistema economico nazionale: tali imprese assorbono l'81,7% del totale
dei lavoratori del nostro Paese, generano il 58,5% del valore delle esportazioni e
contribuiscono al 70,8% del PIL. Il solo comparto manifatturiero, che conta circa 530.000
aziende, occupa circa 4,8 milioni di addetti, fattura 230 miliardi di euro l’anno, equivalente
al 13% del PIL nazionale, e contribuisce al totale delle esportazioni del Made in Italy nella
misura del 53,6% (dati Confapi).
Però gli italiani utilizzano sempre di più la macchina per spostarsi. Non è un
controsenso?
Ciò che si estrae in Italia non è necessariamente destinato alla produzione del carburante
per le autovetture e ancor meno per quelle in circolazione nel nostro Paese. Tuttavia gli
elevati consumi di petrolio nel settore dei trasporti potrebbero essere notevolmente
diminuiti con una seria politica di mobilità sostenibile per le persone e per le merci nelle
aree urbane, ma non solo. Secondo l’Unione europea, rispetto agli altri Stati membri, al
riguardo l’Italia è agli ultimi posti.
Cosa ci si attende?
Il voto referendario è uno dei pochi strumenti di democrazia diretta a disposizione degli
italiani ed è giusto che i cittadini abbiano la possibilità di esprimersi anche sul futuro
energetico del nostro Paese.
Nel dicembre del 2015 l’Italia ha partecipato alla Conferenza ONU sui cambiamenti
climatici tenutasi a Parigi, impegnandosi, assieme ad altri 194 Paesi, a contenere il
riscaldamento globale entro 1,5 gradi centigradi e a seguire la strada della
decarbonizzazione.
Fermare le trivellazioni in mare è in linea con gli impegni presi a Parigi e contribuirà al
raggiungimento di quell’obiettivo.
È necessario, nel frattempo, affrontare il problema della transizione energetica, puntando
anche sul risparmio e sull’efficienza energetica e investendo da subito nel settore
delle energie rinnovabili, che potrà generare progressivamente migliaia di nuovi
posti di lavoro.
Il tempo delle fonti fossili è scaduto: è ora di aprire ad un modello economico alternativo.
Perché questo referendum?
Per tutelare i mari italiani, anzitutto. Il mare ricopre il 71% della superficie del Pianeta e
svolge un ruolo fondamentale per la vita dell’uomo sulla terra. Con la sua enorme
moltitudine di esseri viventi vegetali e animali – dal fitoplancton alle grandi balene –
produce, se in buona salute, il 50% dell’ossigeno che respiriamo e assorbe fino ad 1/3
delle emissioni di anidride carbonica prodotta dalle attività antropiche.
La ricerca e l’estrazione di idrocarburi ha un notevole impatto sulla vita del mare. Le
attività di routine delle piattaforme possono rilasciare sostanze chimiche inquinanti
e pericolose nell’ecosistema marino, con un forte impatto sull’ambiente e sugli esseri
viventi, come dimostrano i dati del ministero dell’Ambiente relativi ai controlli eseguiti nei
pressi delle piattaforme in attività oggi nel mare italiano.
Anche la ricerca del gas e del petrolio, che utilizza la tecnica dell’airgun (esplosioni di aria
compressa), incide, in particolar modo, sulla fauna marina: le emissioni acustiche dovute
all’utilizzo di tale tecnica possono elevare il livello di stress dei mammiferi marini,
modificare il loro comportamento e indebolire il loro sistema immunitario. Possono
provocare inoltre danni diretti a un’ampia gamma di organismi marini – cetacei, tartarughe,
pesci, molluschi e crostacei – e alterare la catena trofica.
Senza considerare che i mari italiani sono mari “chiusi” e un incidente anche di
piccole dimensioni potrebbe mettere a repentaglio tutto questo. Un eventuale
incidente – nei pozzi petroliferi offshore e/o durante il trasporto di petrolio – sarebbe fonte
di danni incalcolabili con effetti immediati e a lungo termine sull’ambiente, la qualità
della vita e con gravi ripercussioni gravissime sull’economia turistica e della pesca.